"Terrorismo e strategia della tensione" (1)

"Terrorismo e strategia della tensione" (1) Giuseppe Giarrizzo “Gli anni di piombo”. Così sono stati definiti dagli storici i due decenni che in Italia precedettero la caduta del muro di Berlino. Anni controversi e di cruenti scontri sociali in cui, sull’onda della rivoluzione culturale, alla richiesta di maggiore partecipazione politica e di più ampi spazi democratici corrisposero, spesso, risposte violente ed azioni sanguinarie condotte da formazioni politiche estremiste, sia di destra che di sinistra, convinte che solo nella lotta armata potesse risiedere la soluzione delle problematiche sociopolitiche che affliggevano la penisola. Quegli anni ancora oggi rimangono, sotto molteplici aspetti, pagine oscure nel libro della storia nazionale, in particolar modo quando si cerca di analizzare il ruolo che lo Stato italiano rivestì nella stagione dello stragismo. Questo è stato il tema che ha tenuto banco martedì 30 novembre nell’Aula Magna della facoltà di Scienze Politiche di Messina in occasione del convegno-dibattito “Terrorismo e Strategia della Tensione: storia da non dimenticare”. Relatori d’eccezione Sergio Flamigni e Agnese Moro. Il primo, emiliano, definito “enciclopedia vivente del caso Moro” su cui ha pubblicato numerosi libri, ha iniziato la sua carriera politica nel 1941, in pieno regime fascista. Durante la guerra ha fatto parte delle formazioni partigiane e successivamente ha rivestito ruoli di primo piano all’interno della CGL, prima, e del Pc poi, tra le cui fila è stato eletto Deputato parlamentare nel 1968 e Senatore nel ’79. E’ stato membro della Commissione d’inchiesta sul caso Moro e di quella riguardante la loggia massonica P2. Ha fatto inoltre parte di diverse Commissioni d’inchiesta bicamerali sulla mafia durante la V, VI, VIII e IX legislatura. La seconda è la figlia di Aldo Moro (ucciso dalle Brigate Rosse il 9 maggio 1978), socio psicologa e autrice del libro “Un uomo così” in cui ha ricostruito, attraverso i ricordi personali e familiari, la vita del padre. Due figure di notevole spessore politico culturale attraverso le quali è stato possibile ricostruire, sul filo della memoria, alcune delle vicende più tragiche della storia d’Italia. L’eccezionale contributo del Senatore Flamigni si è concentrato proprio sul controverso ruolo dello Stato durante gli anni definiti della “strategia della tensione”, il cui primo atto è stato storicamente individuato nella strage di Piazza Fontana a Milano dove, nella sede della Banca Nazionale dell'Agricoltura, l’esplosione di una bomba provocò la morte di diciassette persone ed il ferimento di ottantotto. Era il 12 dicembre del 1969. Nello stesso giorno una seconda bomba fu rinvenuta inesplosa nella sede milanese della Banca Commerciale Italiana, in piazza della Scala. Una terza esplose a Roma alle 16:55 dello stesso giorno nel passaggio sotterraneo che collegava l'entrata di via Veneto con quella di via San Basilio della Banca Nazionale del Lavoro, ferendo tredici persone. Altre due bombe esplosero a Roma tra le 17:20 e le 17:30, una davanti all'Altare della Patria e l'altra all'ingresso del museo del Risorgimento, in piazza Venezia, facendo quattro feriti. Si contarono dunque cinque attentati terroristici nel pomeriggio dello stesso giorno, concentrati, tra il primo e l'ultimo, in un lasso di tempo di soli 53 minuti, a colpire contemporaneamente le due maggiori città d'Italia, Roma e Milano. Il movente principale secondo Flamigni risiedeva nel tentativo di destabilizzare la situazione politica italiana. Opinione, del resto, comune alla maggior parte degli studiosi che della “strategia della tensione” si sono variamente occupati. Alla base del terrorismo di Stato starebbe il tentativo di influire sul sistema politico italiano, rendendo instabile la democrazia. In tale ottica molte ipotesi hanno portato a sospettare dei servizi segreti, italiani e stranieri, rei di aver appoggiato gruppi terroristici in modo da spingerli a compiere azioni tali da creare allarme e terrore nell'opinione pubblica. In questo modo si sarebbero giustificate reazioni estreme come l'instaurazione di uno stato di polizia, ipotizzato per scongiurare la destabilizzazione della posizione italiana nelle sue alleanze. «L’Ambasciata americana – ha affermato Flamigni – fece pressioni sul Presidente della Repubblica Saragat affinché si giungesse alla proclamazione dello stato d’assedio, per altro non previsto dalla Costituzione italiana». L’eventualità fu scongiurata dallo stesso Saragat quando ai solenni funerali delle vittime della strage di Piazza Fontana si rese conto della grande partecipazione emotiva del popolo e dell’errore politico che un’azione del genere avrebbe potuto significare sul piano della già precaria stabilità sociale. segue

, a cura di Peppe Paino

Data notizia: 12/1/2010

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