Armando Riitano
Riprendo la rubrica dopo la pausa natalizia, con invidia per l'immortalità conquistata da coloro che mi stanno intorno: non tutti ignorano che proprio il raggiungimento dell'immortalità il Natale commemora.
Dedico questo numero al poeta Davide Cortese, il quale tra qualche mese sarà in libreria con la nuova silloge poetica OSSARIO, per la quale ho appena avuto il piacere di scrivere la prefazione che riporto di seguito, così come comparirà al principio del libro.
Un vivo esempio di poesia postcarducciana, cifra essenziale della poetica di Davide Cortese sostanziantesi di ebbrezza surrealista e simbolista, in un castone di sfumato languido dadaismo; questo tenuemente sopitosi, quella accentuatasi nelle sillogi seguenti l'opera prima; un poetare nel solco aureo dei giammai sorpassati modelli francesi dell'Ottocento.
Affiorano qua e là in OSSARIO i soffocati aneliti di ribellione - che i non atei potrebbero essere tentati di catalogare come blasfemi - caratteristici del dionisiaco Poeta, e ci commuove l'hapax stilistico costituito da NO, NON ERI TU, quasi un intervallum insaniae emergente dalla 'mattia' poietica cortesiana, in cui la lira dell' autore, blandita l'inquietudine, trova in un baluginio l'energia per sottrarsi all'onirismo e scrutare a un dipresso pacatamente la sua amaritudine, in una sorta di accorata e disillusa missiva alla persona un tempo amata, la quale ci rivela ancora una volta come l'amore, ogni amore, sia sempre e solamente - purtroppo - amore di sé. E qui ci riesce gradito persuaderci, senza volere in alcun modo forzare l'intendimento del Cortese, di ritrovare un nostro antico convincimento: la felicità, forse, potrebbe consistere in una natura umana - odiernamente insussistente - in grado di individuare nella propria persona l'oggetto d'amore: la nascita di un narcisismo positivo.
Un esemplare caso, quello del Nostro, palesante come la poesia non sia affatto scomparsa - al contrario di quanto la precotta vulgata letteraria si sforza di inculcarci -: è rigogliosa e fulgente per virtù delle penne di sparuti - questo sì - alunni delle Muse; ad onta di decenni novecenteschi di sterile, vacuo sperimentalismo - la cui destinazione non può essere differente da quella di incantare gli imperiti - alimentato da una critica frolla e supina, il quale,va detto, avrebbe anche potuto produrre risultati apprezzabili, se si fosse accompagnato all'onestà intellettuale di dichiararsi altro rispetto al più nobile dei frutti dell'ingenium: la Poesia.
A.R.
a cura di Peppe Paino
Data notizia: 1/15/2012
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