MALDIVEEEEEEE di Pino Dato - Scrivere su una vacanza appena terminata e andata per il meglio non è affatto semplice. Rischiare la banalità del bene (quella del male per fortuna non è in discussione e la serietà sarebbe d’obbligo) è il minimo. Ma io in questa banalità voglio tuffarmi. Si comincia con il ritorno (spingendo alla maniera di un flash back al cinema, se fatto bene molto efficace). Incontri l’amico per strada: “Ehi, è un pezzo che non ci si vede, sei sparito?” “No, mi sono preso una vacanza fuori stagione, avevo bisogno di uno stacco” “Hai fatto bene, e dove sei andato?” “Indovina un po’?” “Non saprei” “Alle Maldive.” “Alle Maldive????” E qui inizia un risolino appena accennato dall’angolo sinistro della bocca serpente. Ma il serpente un po’ di ragione ce l’ha, devo dire, perché nell’immaginario collettivo della nostra grande Italia piccolo borghese le Maldive sono una meta che ormai solleva solo risolini. Nel senso che è una meta di prammatica per definire un certo tipo di vacanza, alla maniera di Boldi e De Sica nel filmaccio di rito sotto Natale per intenderci. Le Maldive sono talmente diventate un paradigma di “quel” tipo di vacanza alla Boldi che ormai credono di esserci andati anche quelli che non ci sono mai stati e forse non ci andranno mai. Ed è questo il motivo per cui non ci andranno mai: essi credono, fortemente credono, di esserci già stati.
Anche mia moglie, quando le annunciai la decisione che avevo preso di staccare alle Maldive, mi rispose con una domanda con molti punti d’interpunzione interrogativi (ma è più corretta in realtà la ripetizione multipla della e finale): “Alle Maldive????”. Sì, anche guardandola su carta l’interrogativa stupefatta è più bella ispessita da molte “e” finali, come fa una cara amica di quel gruppo magico che si è formato in mezzo all’Oceano in questo viaggio miracoloso e fuori stagione scrivendoci le email, dopo che siamo tornati, con un oggetto senza preposizione articolata davanti: perché ormai il dado è tratto, la vacanza è consumata e resta un ricordo per ora (speriamo a lungo) indimenticabile. Come una trombettiera la bella Giada si annuncia così: “Maldiveeeeeeee”.
Come avrà capito chi legge, la vacanza si è conclusa alla grande e, magìa dell’oriente e dell’Oceano Indiano, sopravvive ancora alla violenza immane di tutti i ritorni, anche perché vi si è formato spontaneamente un gruppo mirabile e unico. Lo so, per chi viaggia organizzato (più o meno, Internet o agenzia che sia) non è né frequente né facile che ciò avvenga. Anzi, di solito, diciamolo, non avviene. Quasi sempre (semplifico) il gruppo è un coacervo di lamentosi di professione. Se non scatta un ‘deng’ inesplicabile le lamentele sovrastano la vacanza fino ad asfissiarla: contro il tempo, l’accompagnatore, il cibo, il caffè cattivo, la pasta scotta, le salse indigeste, le camere sporche, la doccia che schizza di lato, i prezzi troppo alti. Poi spesso i giovani si mescolano ai vecchi, si trovano insopportabili a vicenda, la moglie che parla troppo si fa sentire dalla platea a voce alta, il marito ci fa la figura dello gnocco (che non è il maschile di gnocca, ndr) e il viaggio finisce dove era cominciato: i molti dubbi di ogni viaggio dal paradigma prefissato si concludono in certezze. Negative.
Nulla di tutto questo. All’inizio i dubbi c’erano. Dubbi sul tempo. Si sa che le Maldive in ottobre e novembre hanno i monsoni del mare, che significano pioggia. Dubbi sul prezzo: troppo basso per non pensare che il resort sarebbe stato di quelli del tipo scolastico con bidello a bordo pullmann in prima fila. Dubbi sull’atollo: troppo piccolo e con troppi pochi svaghi per non far pensare che in caso di brutto tempo nemmeno 5 romanzi 5 sarebbero bastati a far passare la noia. E le mogli che criticavano in diagonale, stilettando: “Con quei soldi lì, del resto, cosa puoi pretendere?”.
Dopo due giorni di pioggia senza (quasi) soste, in realtà, qualche ineluttabile tristezza serpeggiava. Il gruppo magico tuttavia stava formandosi. Le conversazioni riscattavano l’insieme, gli ombrelli in camera erano ombrelloni e i passi sembravano percorrere le contrade di una primavera padana di quelle piovose assai. Ma il tempo non aveva impedito di ammirare un mare cristallino e una vegetazione da far venire l’acquolina in bocca a Tarzan e Cita: l’atollo Byiadhoo, al di là del resort vecchiotto ma ben tenuto e pulito, era uno splendore. Nei primi giorni piovosi la constatazione della bellezza del luogo dava spago ancor più lungo alla depressione. Era giusto pensare: che ci facciamo in un posto così bello con la pioggia?
Ma bastò un sole fra molte nuvole il terzo e il quarto giorno per far montare l’entusiasmo. Potrei dire: bastò un pallido sole (ma pallido non era, perché sotto le nuvole picchiava ugualmente). Il quarto giorno (secondo di sole) con Luca ci siamo guardati e ci siamo schiaffeggiati le rispettive destre da vincitori. Il sole è arrivato: loro pensavano di fregarci, ci siamo detti, con quel prezzo, e invece li abbiamo fregati noi.
Il resto è gloria. Snorkeling, sole, footing, paesaggi indimenticabili, e alla sera lunghe chiacchierate sotto la foresta. Con una luna piena calante che si schiacciava da Nord a Sud anziché da ponente a levante. A Biyadhoo il motto mediterraneo luna a ponente luna crescente, luna a levante luna calante non valeva più in quella splendida settimana di fine ottobre. Ce ne accorgemmo tutti per la prima volta. Ma forse la luna maldiviana faceva questi scherzi solo a noi.
, a cura di Pino Dato
Data notizia: 11/19/2007
dalla nostra Daniela Bruzzone
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