Garibaldi e il Risorgimento, storia da cancellare?

Garibaldi e il Risorgimento, storia da cancellare? Giuseppe Giarrizzo “Abbiam fatto l’Europa, facciamo anche l’Italia”. Così recita un pezzo dell’intramontabile Giorgio Gaber. Peccato che non tutti la pensino allo stesso modo e che, proprio nel momento in cui fremono i preparativi per la celebrazione dei 150 anni di unità nazionale e ovunque spuntano qua e là comitati pro festeggiamenti, qualcuno si metta a fare dello spicciolo revisionismo storico cancellando con un maldestro colpo di spugna tutta l’epopea risorgimentale. Bersaglio privilegiato Giuseppe Garibaldi, trasformato da “eroe dei due mondi” in dittatorello senza né arte né parte, piegato alle pretese insane e losche di Inghilterra, Francia, Piemonte e massoneria. Insomma, un fedele esecutore d’imprese su commissione. Certo è che un’analisi storiografica coeva sulla figura di Garibaldi e sull’intero processo d’unificazione nazionale è ancora lontana dal realizzarsi. D'altronde - si sa - qualsiasi evento storico ha i suoi vinti e i suoi vincitori ed un fenomeno complesso come quello risorgimentale non può essere spiegato in maniera univoca. Ad attestarlo è la copiosa produzione di contributi storiografici nettamente distanti dalle ricostruzioni agiografiche ufficiali: da Alfredo Oriani a Francesco Nitti, da Gobetti ad Antonio Gramsci, da Carlo Alianello (caposcuola dei neomeridionalisti) a Francesco Mario Agnoli, passando per Del Boca, Di Fiore, Pellicciari e Nicola Zitara, il più intransigente dei revisionisti. Tutti impegnati, in tempi e modi diversi, nel ridimensionamento dell’operato di casa Savoia. - Operazione legittima! – si penserà, ed in effetti l’opera di questi studiosi ha contribuito in maniera determinante a gettare una luce sulle molteplici ombre che si celano dietro una millantata verità storica che pretende di dipingere il processo di unificazione nazionale non tanto come il tentativo – ormai chiaro e ampiamente documentato - da parte dello Stato Sabaudo di “piemontesizzare” l’Italia, bensì come la risultante di uno sforzo congiunto di tutte le classi sociali per ricacciare lo straniero oltre i confini della penisola italiana. Ma se contributi del genere risultano fondamentali per la piena comprensione di un fenomeno che già da tempo tiene banco su giornali e trasmissioni tv, lo stesso non può dirsi dei contributi di chi, cavalcando l’onda mediatica del momento, utilizza l’argomento per fomentare polemiche che nulla hanno a che vedere con un serio dibattito storiografico. Caso emblematico quello della Lega Nord, ormai da qualche anno forte sostenitrice della linea di delegittimazione del processo unitario, seguita a ruota da politici ed opinionisti del sud, anche nostrani. Chi non ricorda la bislacca trovata del sindaco di Capo d’Orlando Enzo Sindoni? Le immagini del primo cittadino orlandino che prendeva a picconate la targa di piazza Garibaldi hanno fatto il giro di tutte le tv nazionali. «Un feroce assassino al servizio di massoneria e servizi inglesi!». Così tuonò il sindaco su Garibaldi incassando l’assenso del governatore Lombardo e dell’on. Miccichè, il quale invitò addirittura tutti i sindaci siciliani a seguire l’esempio di Sindoni e a cancellare il nome di Garibaldi dalla toponomastica cittadina. Quanti tra i sindaci di Sicilia abbiano effettivamente seguito il suggerimento dell’onorevole non ci è dato sapere, di sicuro ha fatto orecchie da mercante quello di Patti che nel luglio scorso, sul lungomare della frazione Marina , ha presenziato all’inaugurazione della stele di pietra in onore di Garibaldi, per celebrare lo sbarco garibaldino 150 anni dopo. Ma anche qui le sorprese non sono mancate: a rovinare la solenne cerimonia ci ha pensato un comitato spontaneo di cittadini pattesi armato di volantini in cui all’”eroe dei due mondi” veniva appioppato di tutto, fuorché l’appellativo di “eroe”. Neovulgata antirisorgimentale? Parrebbe proprio di sì. Ma in generale le fondamenta su cui si radica il fenomeno, e qui si cela il pericolo maggiore, sono di natura squisitamente politica. A Capo d’Orlando come a Patti, a Palermo come nel resto della Sicilia, il sentimento diffuso di rigetto dell’identità nazionale risponde a logiche propagandistiche che additano il processo di unificazione nazionale come generatore di tutti i mali del meridione, infausta premessa di una perenne condizione di sottosviluppo che si trascina ancora oggi. Come a dire che gli artefici del proprio destino non sono i siciliani stessi, poiché il destino dei siciliani l’hanno scritto 150 anni fa Garibaldi, Cavour e Vittorio Emanuele. Con buona pace di tutti. Ma la storia è una cosa seria e va maneggiata con serietà e onestà intellettuale, sganciandola da strumentalizzazioni di sorta che, nelle migliori delle ipotesi, si concretizzano in picconate pubbliche e dichiarazioni che assumono toni da secessionismo. Intanto a marina di Patti la stele di pietra è ancora lì, peccato che sulla parte levigata su cui è stata scolpita la storica data dell’evento campeggi una frase poco elegante realizzata con una bomboletta spry: “ Garibaldi m…! ”. Gli autori? Probabilmente un manipolo di bulletti di provincia che sulla storia risorgimentale avranno delle nozioni pari a zero. Che il volantino abbia sortito l’effetto sperato?

, a cura di Peppe Paino

Data notizia: 9/22/2010

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