Dovere di cronaca (1)

Dovere di cronaca (1) Giuseppe Giarrizzo Barcellona Pozzo di Gotto, via Marconi, 8 gennaio 1993. Tre colpi d’arma da fuoco partiti da una calibro 22 raggiungono il corpo del giornalista de “La Sicilia” Beppe Alfano mentre si trova al volante della sua Renault 9. Un omicidio di mafia in piena regola, ordinato, pianificato e consumato per tappare la bocca di un ficcanaso che sulle dinamiche criminogene del barcellonese, zona privilegiata per il soggiorno forzato del superlatitante Nitto Santapaola, sapeva troppe cose. Diciotto anni dopo, come ogni anno da quella tragica data, la famiglia Alfano, insieme ad una folta rappresentanza di forze dell’ordine, della magistratura, della politica, dell’informazione e della società civile, ne ha commemorato la scomparsa. Centinaia le persone presenti al Palacultura Bartolo Cattafi di Barcellona sabato 8 gennaio, tra cui parecchi giovani giunti in pullman da ogni parte d’Italia, per seguire gli interventi di Piergiorgio Morosini, presidente di “Magistratura Democratica”; Giulio Cavalli, attore ed esponente IDV della Regione Lombardia; Luigi De Magistris, ex magistrato ed europarlamentare; Nicola Biondo, cronista de “L’Unità” e redattore del programma Rai “Blu Notte” di Lucarelli; Marco Ligabue, musicista e fratello del più famoso Luciano; Salvatore Borsellino, fratello del giudice Paolo Borsellino vittima della strage di via D’Amelio; Sonia Alfano, europarlamentare e figlia di Beppe Alfano. Assente fisicamente per motivi di salute ma presente in diretta telefonica l’avvocato Fabio Repici, il quale ha lucidamente ricostruito il sistema di potere che decise della morte di Alfano e il ruolo che, a livello nazionale, ha rivestito Barcellona durante gli anni delle stragi di mafia. Repici si è inoltre soffermato sull’attività di depistaggio operata da un Pm e da alcuni apparati investigativi in occasione delle indagini sull’omicidio Alfano e dell’inerzia che ancora oggi caratterizza tutto l’apparato della Dda di Messina che «non dà l’impressione di volersi dedicare finalmente al vero potere mafioso di Barcellona». «È possibile – ha tuonato Repici – che il Sostituto Procuratore di punta sia un alcolizzato, notoriamente tale?». L’avvocato si è chiesto infine se dietro questo modo di agire, un po’ approssimativo, non vi siano delle ragioni profonde per cui è preferibile mantenere Barcellona sotto la guida di un sistema corrotto e corruttore. L’ultima stoccata è per il Procuratore Generale di Messina Franco Cassata. «Non è più ammissibile che un personaggio del genere possa continuare a ricoprire quel ruolo. È anche dalla sua sostituzione che si deve partire per meditare un serio cambiamento di rotta per la città di Barcellona». Di seguito l’intervento di Piergiorgio Morosini, il quale ha messo in evidenza l’insana prassi secondo cui pezzi delle istituzioni continuano a coprire ed aiutare il sistema mafioso. «Com’è possibile – ha esordito il presidente di “Magistratura Democratica” – che il nostro Presidente del Consiglio esorti a non scrivere libri di mafia perché rischiano di danneggiare l’immagine del paese?». Morosini ha inoltre espresso il suo sdegno per i tagli alla giustizia e per uno Stato negligente, inesorabile e crudele con i deboli ma acquiescente con mafiosi e criminali di prim’ordine. Dure anche le considerazioni sulla magistratura. A detta di Morosini alcune indagini sul malaffare in Italia hanno messo in luce l’esistenza di una questione morale anche nell’universo delle toghe italiane, troppo spesso piegate al malcostume diffuso e al totale disprezzo per la legge. Giulio Cavalli si è soffermato sull’importanza della denuncia e sulla necessità di non dovere mai mettere la testa sotto la sabbia. Secondo il consigliere regionale lombardo bisognerebbe riscoprire il ruolo fondamentale della cittadinanza attiva ed «avere il coraggio di andare ad occupare spazi lasciati vuoti da chi, nonostante sia di competenza, non ha la voglia o il coraggio di occuparli». Il riferimento è chiaramente rivolto a Beppe Alfano, che pur non essendo giornalista di professione ha sacrificato la sua vita perché sentiva profondamente il dovere dell’informazione e della divulgazione della verità. Emozionante l’intervento di Salvatore Borsellino, scandito da scrosci di applausi. Dalle sue parole è emersa tutta l’amarezza per essersi piegato, qualche tempo dopo la morte del fratello, ad un silenzio lungo sette anni, indotto dall’indifferenza dello Stato e della società civile. Con una voce rotta dall’emozione e dalla rabbia il fratello del giudice antimafia ucciso da Cosa Nostra ha evocato lo strazio del «profumo della libertà coperto dal puzzo della continuità, della complicità e dell’indifferenza». Poi ha ripercorso l’esperienza fatta al fianco di Sonia Alfano, la condivisione delle stesse battaglie, il riemergere di quella voglia di riscatto che l’ha condotto ad uscire dal silenzio in cui si era barricato. Infine l’appello ai giovani a combattere dall’interno «una politica disgraziata e maledetta» per giungere finalmente all’instaurazione di un sistema fondato sulla verità e la giustizia. Raccogliendo l’appello di Salvatore Borsellino, l’europarlamentare De Magistris, divenuto noto per aver indagato sugli oscuri interessi economico politici e criminali presenti in Campania e Lucania e al cui vertice pare si collocasse la figura dell’ex ministro della Giustizia Clemente Mastella, ha centrato il suo intervento sulla necessità di portare avanti un lavoro come quello svolto dallo stesso Borsellino, da Sonia Alfano e da tutte quelle personalità decise a non piegarsi al compromesso e all’illegalità. A detta di De Magistris «solo con un lavoro del genere si può sperare di sensibilizzare parte delle istituzioni e realizzare un’ampia giustizia sociale, creando quelle condizioni in grado di spingere la società a non girarsi dall’altra parte e a non piegare la schiena di fronte ai soprusi e le ingiustizie». segue

, a cura di Peppe Paino

Data notizia: 1/10/2011

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