Michele Merenda
SALINA – L’opera su Salina del prof. Giuseppe Iacolino, suddivisa in quattro volumi, volge quasi al termine. Da poco, infatti, è stato pubblicato il terzo libro in tre anni: “Raccontare Salina vol. III – Dal Settecento agli albori dell’Ottocento” (Edizioni Nell’attesa). Un lavoro che lo storico eoliano, nato a Favara (AG) nel 1919 ma trasferitosi a Lipari fin dal ’29, ha costruito attingendo a documenti spesso inediti e che sono stati posti all’attenzione del grande pubblico grazie anche alla sua abilità di eccellente latinista (il professore si è laureato in Lettere classiche presso l’Università Cattolica del S. Cuore a Milano) che gli ha permesso di tradurre preziosissimi documenti, molti dei quali provenienti dagli archivi vescovili. Se nelle “puntate” immediatamente precedenti l’isola più verde delle Eolie stava pian piano uscendo da dei secoli “bui”, soprattutto dal punto di vista delle informazioni storiche, e venivano gettati i semi per il suo sviluppo futuro, in questo penultimo passaggio troviamo un luogo finalmente attivo e che inizia l’elaborazione di una precisa indipendenza economica. Base essenziale per il distacco definitivo da Lipari, che avverrà poi nel 1867 e che sarà ampiamente trattato nel quarto volume. Iacolino ci parla di un luogo che “ama proporsi come piccola patria, come minuscola collettività sociale a sé stante, legata al proprio campanile dal quale si proietta ai nativi uno spiccato senso di appartenenza a quel determinato territorio”. Un posto in cui le parentele ed i vincoli personali, nel bene e nel male, diventano determinanti. “Anche questo volume, come i precedenti – scrive Riccardo Gullo nella presentazione –, va oltre l’ambito isolano, in quanto gli avvenimenti locali si intrecciano con il generale contesto storico del tempo in un sistema narrativo scorrevole e ben armonizzato tra gli accadimenti locali e quelli esterni, ponendo queste isole nel circuito della storia del più generale contesto geografico di cui fanno parte”. Lo stesso autore sottolinea nella nota iniziale che l’accadimento dei fatti ci viene sottoposto non solo da vescovi e da visitatori illustri (nella seconda metà del XVIII sec. arrivano a Salina Houel, Dolomieu e Spallanzani) ma direttamente dai protagonisti della vita quotidiana di quel periodo, come dimostrano ad esempio i documenti in cui si parla di un tentato omicidio la sera del Giovedì Santo 1727 all’interno della chiesa del Terzito a Valdichiesa. Procuratore fiscale, vittima, attentatore ed un testimone oculare danno voce diretta ai fatti, in cui vengono addirittura riportate le frasi ingiuriose proferite al momento dell’aggressione. Il primo settecento si mostra come un momento in cui le comunità salinesi si muovono decise verso la ricerca di nuove connotazioni della propria identità; personaggi di spicco nell’economia degli avvenimenti diventano vescovi come Ventimiglia (passato alla storia per aver tenuto nell’anno giubilare 1700 l’orazione di circostanza per l’elezione del Pontefice), Platamone, Beamonte (ghiotto di Malvasia, il cui nome torna per iscritto dopo ben 88 anni) e Coppola (che desterà la rabbia degli isolani per il disboscamento di Monte Fossa delle Felci). Personaggi che si muovono in contesti bellici determinanti per l’Europa, come le guerre di successione spagnola, gli scontri tra gli stessi spagnoli ed austriaci per il controllo della Sicilia (con la presenza degli inglesi) o le guerre napoleoniche, protagoniste indirette dell’ascesa economica di Salina. Con la presenza delle truppe britanniche nei porti siciliani, infatti, inizia ad essere conosciuta la Malvasia di Salina a livello internazionale. Ben presto il Marsala, miscellanea inventata da John Woodhouse nel 1773, scompare dagli inventari delle navi inglesi ed il posto viene preso proprio dal dolce vino salinese. L’ufficiale William Henry Smyth, comunque molto critico nei confronti sia dell’igiene siciliana in generale e di quella salinese in particolare, parla dei vini e dice: “Tra questi ultimi, la Malvasia non ha rivali per qualità”. Sullo sfondo, una società che cresce grazie ai propri parroci e si evolve sul piano sociale, come viene dimostrato dall’edificazione di nuove cappelle votive e ristrutturazione delle chiese pre-esistenti, oltre alla presenza di numerosi giovani locali nella marineria del Regno. Tutti passi decisivi verso l’imminente emancipazione finale, che verrà esaurientemente esposta nel quarto ed ultimo volume.
, a cura di Peppe Paino
Data notizia: 9/5/2011
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