L'incubo di Darwin

Riceviamo da ll'ing. Francesco Mirabito e pubblichiamo: L’incubo di Darwin Viviamo un epoca sempre più eterogenea, sempre più facile avere accesso ad informazioni e contenuti. Internet è ormai eletta ad unica onnisciente fonte. Come la Chiesa però, composta da fragili uomini, ama definirsi “Santa e Peccatrice” così la sconfinata rete globale non è altro che un enorme contenitore riempito da chiunque. Sulla rete oggi si può leggere, sentire e vedere praticamente tutto ed il suo diretto opposto, entrambi supportati da emeriti professori accreditati da questo o quel istituto o associazione. Ed è così che ancora una volta anche in rete viene fuori la Contradictio in adiecto di una possibile attività venatoria praticata da ambientalisti naturalisti, a questo punto ci aggiungerei anche, perché no, “animalisti”. Io non vi parlerò di nessuna verità, ma più onestamente utilizzo questo media per condividere il mio pensiero che ritengo, almeno in riferimento alle questioni trattate si avvicini a quello di molti. Nella mia vita, per fortuna ed intraprendenza ho avuto spesso la fortuna di trovarmi in luoghi in cui la mia presenza era l’unica fonte di disturbo antropico. Studiando, ascoltando ma principalmente osservando ho compreso che le dinamiche ecosistemiche sono talmente complesse che un semplice tentativo di schematizzazione risulta talmente opinabile che tutto ciò al quale ci si può avvicinare sono delle Teorie (insieme interconnesso di ipotesi), non di certo Teoremi come succede in altre più rigorose scienze. Nella storia recente, ahimè, spesso la presentazione di qualcuna di queste teorie ha ingenerato l’illusione di una totale comprensione di questo o quel ecosistema. L’arroganza derivata da questa illusoria comprensione ci ha portato ad attuare ogni forma di alterazione. Non basterebbe un intero corso universitario a descrivere compiutamente tutti i fallimenti e le funeste conseguenze, delle tecniche di controllo ambientale, uno tra tutti l’infelice futuro al quale abbiamo condannato il lago Vittoria. Nel Lago vi è in atto una delle più grandi estinzioni di massa attualmente in corso nel nostro pianeta. Questo perché negli anni 50 i coloni Inglesi, con lo scopo di incrementare la pesca commerciale, introdussero degli esemplari di Lates niloticus e di Oreochromis niloticus (Tilapia del Nilo). Questi pesci dall’atteggiamento predatorio e di dimensioni superiori a quelle dei predatori autoctoni hanno completamente sconvolto quell’ambiente acquatico, che era unico per le sue caratteristiche ecosistemiche ma soprattutto per l’elevato numero di endemismi. Oggi il secondo lago d’acqua dolce più esteso del globo, circa un terzo della superficie italiana è ridotto ad una cloaca anossica ricoperta d’alghe, elevato ad imperitura memoria dell’arroganza e dell’idiozia del genere umano. Se torniamo nel nostro bel paese le cose di certo non vanno meglio, lo dimostra in modo esemplare il fatto che si parli ancora di conservazione mediante controllo, magari venatorio delle popolazioni. Per quanto riguarda gli ipotetici danni al territorio derivanti dall’auspicabile cessazione dell’attività venatoria bisogna essere chiari e smetterla di fare demagogia. In natura TUTTO tende all’equilibrio, anche i sistemi naturali alterati tendono ad un nuovo equilibrio, normalmente più forte è l’intensità dell’alterazione, meno complesso sarà lo scenario eco sistemico che riavvierà il normale ciclo di adattamenti naturali delle popolazioni all’ambiente e dell’ambiente alle popolazioni. Avere eliminato i predatori naturali degli ungulati dalle nostre montagne e valli, ed avere introdotto caprioli e camosci li dove naturalmente non vi erano, non autorizza nessuno ad eleggere le doppiette ad elemento caratterizzante di un già precario equilibrio. Ritengo, insomma, che l’unica vera forma di conservazione che dovremmo insegnare ai nostri figli è il rispetto per ogni forma di vita, ognuna essenziale all’efficiente mantenimento di complicati equilibri ecosistemici, serbatoi di biodiversità e dunque arche per il futuro della vita. La conservazione, per definizione, non potrà mai essere attuata mediante metodi distruttivi, figuriamoci attraverso la violenza di una fucilata esplosa per Uccidere un essere vivente e così facendo strapparlo dal suo ruolo familiare come quello di una madre o sociale come una vecchia matriarca detentrice di un enorme conoscenza fondamentale al suo gruppo. Che ognuno si prenda le proprie responsabilità, ognuno faccia un reale esame critico delle proprie azioni e delle conseguenze ambientali che ne derivano. Cioè non si può dichiarare di essere ambientalisti andando il sabato sera a ballare utilizzando un SUV 5 litri o godendosi un divertente bagno estivo a bordo del proprio entrofuoribordo da 300 CV. Come non si può essere animalisti mangiando un’aragosta piuttosto che un maialino dei nebrodi. Figuriamoci imbracciando un fucile! Esiste un universo di persone che interagisce giornalmente con gli ambienti selvaggi, per tantissimi motivi che vanno dalla ricerca scientifica al puro godimento personale, ciò che fa di loro dei veri ambientalisti non è il grado di conoscenza del territorio o delle dinamiche ecosistemiche che possiedono, ma il rispetto con il quale si muoveranno in quei luoghi che fortunatamente abbiamo precluso al nostro utilizzo esclusivo unitamente ad una profonda valutazione delle proprie scelte da consumatori. In conclusione ritengo che il confronto referendario che si terrà a giugno in Piemonte oltre che essere ontologicamente massima espressione di democrazia, di per sé dunque inattaccabile, nella fattispecie sia un’incredibile opportunità per dimostrare l’esistenza di una grossa, grossissima fetta della popolazione (speriamo maggioritaria in Piemonte) che non ha e non vuole avere nulla a che fare con le doppiette e che anzi ritiene questa cultura violenta oltre che anacronistica e di certo non wilderness friendly. Francesco Mirabito

a cura di Peppe Paino

Data notizia: 4/21/2012

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