Un tempo non troppo lontano, le Isole Eolie erano un paradiso sconosciuto ai più. Soltanto avventurosi e stravaganti viaggiatori, catapultati in uno scenario di omerica memoria, le avevano visitate nei secoli.
Tornavano intimoriti da quelle isole in cui la cenere vulcanica e il fumo dei crateri si mescolavano e si confondevano alla nubi, .
Le vulcaniche Eolie, scoperte da sceneggiatori e registi, nella seconda metà degli anni ‘40 suscitarono l’attenzione del pubblico più vasto dinanzi a capolavori assoluti della cinematografia internazionale.
Fu il principe Francesco Alliata di Villafranca che con la Panaria Film nella seconda metà degli anni’40 produsse documentari e cortometraggi e ancora oggi costituiscono una preziosa fonte di conoscenza delle isole in una veste malinconicamente retrò.
Restaurato nel 2007, “Bianche Eolie”, questo è il titolo di uno di due documentari in poco più di dieci minuti ci catapulta in un’atmosfera antica che odora di cinema di periferia.
Assorti nel racconto della voce narrante rimaniamo sbalorditi, come lo furono forse i nostri nonni accomodati sulle cigolanti poltrone di legno di un vecchio cinematografo.
E’ sorprendente la storia di Rosaria, la vecchina ultracentenaria di Panarea, matriarca dal fisico minuto e barcollante, che coordina con rigore e piglio deciso un equipaggio di donne dedite alla pesca, mentre gli uomini sono emigrati altrove in cerca di fortuna
Apprendiamo che sulle isole le donne non erano relegate alla vita domestica bensì erano dedite ad occupazioni prettamente maschili.
Vi è una malinconica tristezza di sottofondo in quelle donne di Panarea.
Donne forti e grintose che sognano di poter essere condotte via dal loro primo amore tornato dal continente per rapirle.
In una visione romantica il narratore contrappone speranzose fanciulle a donne più mature dalle aspettative deluse.
Quanto è lontana dalle copertine dei giornali di gossip, dagli abiti discinti e dal chiasso delle discoteche l’immagine di Panarea e della sua vita semplice fatta del silenzio della solitudine e dei “fondamenti della vita”di: lavoro, casa, pane .
Gli uomini, protagonisti nella seconda parte, sono gli scavatori della Cava di Pomice di Lipari.
Gli scavatori scivolano dalla cava polverosa come su montagne di borotalco precipitando giù verso il mare.
Mentre un gruppetto riempie i sacchi da caricare sulle barche gli altri volgono lo sguardo verso il mare sognando fortuna in terre lontane.
Oggi rimane una spiaggia di un bianco accecante e i reperti di archeologia industriale dei macchinari per la lavorazione della pomice abbandonati in balia delle onde e della ruggine.
Abbandonato il candore delle cave di pomice e la malinconia delle donne di Panarea, il secondo documentario mostra Vulcano e Stromboli e contrappone i vasti silenziosi crateri lunari del primo al fragore di Stromboli.
In “Isole di Cenere”, anch’esso restaurato nel 2007, una fanciulla caccia con il padre e conduce gli armenti al pascolo sull’isola di Vulcano.
Al contrario Stromboli fa paura come un tremendo essere vivente, il paese è città morta in cui tutto è rovina e abbandono.
Il fragore delle sue esplosioni seminava paura e turbamento nei pochi abitanti mentre scorreva “lento e fossile” il ritmo della vita nell’isola di fuoco e cenere.
Iddu, come lo chiamano, ancora oggi è buono o cattivo a seconda del suo umore.
Stromboli oggi è meta prediletta di divi e fashionisti, scenario di feste glamour per ospiti che ne hanno fatto l’approdo dei loro yacht smisurati.
Amici, siete ancora qui? Cosa aspettate a cercare sul web i video prima della prossima vacanza alle Bianche Isole di Cenere.
Di Livia Perricone
Data notizia: 11/18/2014
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