I Giorni di Roma: L’Età dell’angoscia in mostra ai Musei Capitolini

I Giorni di Roma: L’Età dell’angoscia in mostra ai Musei Capitolini

 

Dopo la morte di Marco, la storia passa da un Impero d’oro ad uno di ferro   arrugginito. Ai Musei Capitolini di Roma il quarto appuntamento del ciclo I giorni di Roma. La mostra L’Età dell’Angoscia offre l’occasione per illustrare i grandi   cambiamenti che segnano l’età compresa tra i regni di Commodo (180-192 d.C.) e quello di Diocleziano (284-305 d.C.). L’avanzata dei Barbari, l’anarchia militare e la crisi di un modello economico; nell’arco di centocinquanta anni, l’Impero cambia totalmente la propria fisionomia. La mostra racconta lo sgretolarsi di un mondo attraverso l’arte, dove questi cambiamenti si riflettono in modelli figurativi carichi di un nuovo e forte accento malinconico. In poco meno di centocinquanta anni, l’Impero giunge a cambiare totalmente la propria fisionomia, fino ad arrivare all’instaurazione della Tetrarchia, alla perdita del ruolo di capitale di Roma ed alla divisione del territorio italico in diocesi equiparate al resto dell’Impero. Sono gli stessi storici antichi ad evidenziare le profonde trasformazioni del proprio mondo, lo si legge nelle parole di Cassio Dione che all’inizio del III secolo d.C. parla della fine del regno di Marco Aurelio come la fine dell’età dell’oro.Dopo la morte di Marco, la storia appunto passa da un Impero d’oro ad uno di ferro arrugginito. Decisiva è la fine della trasmissione del potere su base esclusivamente dinastica e il potere nelle mani dell’esercito, un esercito capace sia di imporre gli imperatori che di eliminarli. È un mondo che cambia la propria struttura sociale, con la disgregazione delle Istituzioni e la  nascita di nuove forze sociali.  La fine della dinastia degli Antonini segna davvero l’inizio di una nuova era. Fino a qualche decennio fa il fenomeno è associato ad una fortissima crisi economica: altissime spese militari, ridotta capacità di acquisto con conseguente paralisi dei commerci, forte svalutazione monetaria e incremento vertiginoso delle imposte delle tasse. In parallelo, si rompe il precario equilibrio che reggeva i rapporti della casa imperiale e del Senato, privato di un potere reale. Ricapitolando, si vivono una crisi dell’apparato produttivo ed il delinearsi di nuovi equilibri di classe, con una supremazia sempre più netta della classe senatoria sui ceti inferiori. Le graduali tappe di queste trasformazioni sono riflesse nei modelli figurativi e nel linguaggio formale della scultura, che si carica di un nuovo e forte accento.  Il linguaggio della ritrattistica ufficiale trasmette chiaramente questo passaggio: i volti degli imperatori sono inclinati, gli occhi dilatati e le labbra serrate. I gesti composti comunicano una specie di dolore morale, un tormento interiore di fronte allo sgretolarsi senza rimedio di un mondo intero. Nella ritrattistica privata, diventa di moda l’abbinamento dei ritratti dei defunti con dei corpi ideali, di norma divinità femminili, semidei ed eroi, che portano all’esaltazione delle qualità e delle gesta del defunto, grazie all’elaborazione delle loro virtù che gli hanno permesso di compiere grandi imprese, eroiche imprese, nella vita terrena. In ambito funerario, continua su vasta scala la produzione dei grandi sarcofagi che aveva segnato l’apertura del II sec. d.C.: la decorazione delle casse è in gran parte centrata su episodi mitici, leggibili in chiave simbolica. Il linguaggio colto del mito si impadronisce anche della morte. Molto amati sono anche i sarcofagi di dimensioni monumentali, le cui casse sono decorate con
scene di battaglie. Fino al 4 ottobre ai Musei Capitolini.

di Daniela Bruzzone



Data notizia: 6/13/2015

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Roma - età dell'amgoscia - Musei Capitolini -



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