Museo cinema, chiesa e contraddizioni

Museo cinema, chiesa e contraddizioni Riceviamo da Pietro Lo Cascio e pubblichiamo: Ieri abbiamo letto la nota di censura sulla mostra “Museo del Cinema” allestita presso la chiesa dell’Immacolata al Castello, secondo la quale il soggetto sarebbe poco consono al luogo, e la successiva smentita, entrambe a firma di Michele Giacomantonio. L’aspetto interessante della smentita è che in questa non si trova più alcun riferimento alla presenza delle immagini di attrici esposte senza il preventivo benestare della curia, che sembravano preoccupare l’autore, ma alla sola durata della loro collocazione: ovvero, una volta appreso che non si tratta di un museo permanente ma di una mostra temporanea, Giacomantonio glissa sul problema – da egli sollevato – del suo contenuto, che pure aveva poco prima giudicato inadeguato a un luogo sacro. Queste ultime considerazioni, invece, mi sembrano alquanto interessanti, perché si parla di limiti della “concessione” – la chiesa è stata restaurata con soldi pubblici, e pertanto è stata data in uso come spazio culturale al comune per vent’anni – e del suo utilizzo per “spettacoli musicali” che “siano consoni alla sacralità del luogo”. Ma se qualche vecchia foto della Magnani – per nulla scollacciata – basta a urtare queste suscettibilità, sarebbe illuminante capire quali siano i criteri discriminanti tra uno spettacolo consono e uno che non lo è, e soprattutto chi debba decidere la loro conformità. Scartiamo l’ipotesi di un concerto di Marilyn Manson, e immaginiamo piuttosto di ospitarvi musica classica: eppure anche lì, dietro l’aspetto rassicurante delle file dei violini e del maestro sul podio, si agitano spettri potenzialmente poco consoni e in contrasto con i dettami della morale cattolica, o tematiche apertamente antireligiose. La protagonista della “Traviata” di Giuseppe Verdi è, essenzialmente, una escort ottocentesca; in altre opere, come “Aida”, “Don Carlo”, “La forza del destino”, il maestro – notoriamente ateo – ha concesso ampio spazio a fervidi sentimenti anticlericali. Gli stessi si ritrovano nella “Tosca” di Puccini, dove il capo della polizia papalina è il protagonista negativo dell’opera, mentre il povero Mario – l’eroe – finisce per essere fucilato sui bastioni di Castel Sant’Angelo; Puccini ha anche musicato “Turandot”, la sanguinaria principessa cinese che decapitava i propri pretendenti, e che non brillava certamente per carità cristiana. Per rimanere in tema di teste mozzate, la “Salomè” di Strauss, che bacia quella di San Giovanni sul vassoio, venne giudicata antireligiosa e censurata su richiesta della chiesa dopo le sue prime rappresentazioni. Se non pari empietà, almeno un chiaro agnosticismo ha ispirato molte composizioni di Shostakovich, di Rimsky-Korsakov, e perfino di maestri italiani come Luigi Nono e Luciano Berio; che dire infine di Mozart, affiliato alla massoneria, e del suo “Flauto magico” che ne rievoca i fondamenti esoterici, o addirittura della sua “Messa funebre massonica” (K477) e della sua “Piccola cantata massonica” (K623). Tutta questa musica, questi autori, potrebbero essere banditi da un auditorium pubblico di un paese laico perché giudicati inadeguati dal vescovo di turno? Penso che sia questo il problema più affascinante posto dalle affermazioni di Michele Giacomantonio: chi sceglierà cosa può essere ospitato in uno spazio culturale che è contemporaneamente una chiesa, in un immobile di proprietà della curia ma la cui programmazione è affidata a un comune, e come lo farà. Sembra una questione d’altri tempi, il voler rinverdire l’ennesima “controversia liparitana”; del resto, chi l’ha sollevata ha portato l’esempio del medioevo e delle discussioni – per la verità, rinascimentali – tra il papa e Michelangelo su come rappresentare il giudizio universale. Poi è arrivato Caravaggio, ha dipinto madonne usando prostitute come modelle e suscitando grande scandalo. Oggi molte chiese espongono le sue opere.

a cura di Peppe Paino

Data notizia: 8/7/2012

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