Abolizione province, iniziato conto alla rovescia

Gazzetta del Sud Michele Cimino Palermo A giorni la giunta di governo sarà chiamata a valutare il disegno di legge dell'assessore regionale alle Autonomie locali Caterina Chinnici che abroga le cosiddette "province regionali" per sostituirle, come dispone l'art. 15 dello Statuto speciale della Sicilia con i "liberi consorzi comunali". La competenza in materia, infatti, a differenza delle province esistenti al di là dello Stretto, è della Regione, che già nel 1970, alla vigilia delle prime elezioni per la istituzione delle 15 regioni a statuto ordinario, su input del governo centrale, che puntava ad ottenere un dato elettorale nazionale, intervenne con una leggina con cui si trasformarono le "congelate" tradizionali province, ufficialmente disciolte con l'entrata in vigore dello Statuto speciale e in chiara fase di smantellamento, in "amministrazioni straordinarie", sempre, comunque, in attesa di essere poste in liquidazione. In realtà, con quell'accorgimento, peraltro suggerito da Roma, per evitare, sul piano giuridico, l'intervento del Commissario dello Stato, si diede nuova vita ad istituzioni che, addirittura, non venivano rinnovate da ben 11 anni e i cui vertici, per l'ultima volta, nel 1959, per impedire lo sfascio, erano stati "aggiornati" con elezioni di secondo grado. La "straordinarietà" delle amministrazioni provinciali siciliane, anche per le pressioni delle segreterie nazionali dei partiti che difendevano quelle istituzioni a spada tratta, durò per quasi vent'anni, finché nel 1986, alla vigilia della conclusione della nona legislatura dell'Ars, non si decise di porre fine a quel sistema, cercando, però, con qualche sotterfugio di carattere giuridico, di salvare capra e cavoli: rispettare, cioè, sul piano formale, lo Statuto e, contemporaneamente, accontentare i partiti e il governo romano. E fecero come quell'abate benedettino che, essendo venerdì ed essendogli stato portato a tavola dell'abbacchio arrosto, senza scomporsi, lo benedisse esclamando, "ego te baptizo piscem". E, quindi, rivolto ai commensali, proseguì: "Ora passiamo mangiare perché nel piatto non c'è più dell'abbacchio, ma del pesce". Recita, infatti, l'art. 4 della legge n.9 del 6 marzo 1986 che diede origine alle attuali "province regionali" della Sicilia: "Le province regionali, costituite dalla aggregazione dei comuni siciliani in liberi consorzi, sono dotate della più ampia autonomia amministrativa e finanziaria .Esse sono espressioni delle comunità operanti in territori di dimensioni sovracomunali, storicamente integrate o suscettibili di integrazioni intorno ad un unico polo di direzione, che consentano l'organizzazione delle strutture e dei servizi connessi allo sviluppo delle relative aree, nonché l'elaborazione e l'attuazione di una comune programmazione economica e sociale". In pratica, con l'aggiunta dell'aggettivo "regionale" al termine provincia, si contrabbandarono le vecchie istituzioni per "liberi consorzi comunali", lasciando in piedi ed anzi potenziando quelle strutture che lo Statuto ha cancellato. Ovvero, molto gattopardescamente, si è cambiato tutto per non cambiare nulla. Ora, dopo 25 anni, con l'obiettivo di "tagliare gli sprechi", anche perché nelle casse della Regione, al contrario di allora, ci sono solo debiti, si ripropone il problema della istituzione dei "liberi consorzi comunali". «Questa – ha detto Lombardo – è la più grande rivoluzione che possiamo realizzare Questa riforma renderà l'amministrazione più efficiente e ridurrà gli sprechi per rispondere meglio ai bisogni dei cittadini».

, a cura di Peppe Paino

Data notizia: 7/9/2011

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